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Vivek Ramaswamy ha preso solo l’1% nel sondaggio della Conferenza conservatori ma promette che sarà in corsa fino alla fine. Se avesse pagato 100mila dollari avrebbe comprato delle preferenze.
DALLA NOSTRA INVIATA NATIONAL HARBOR (Maryland) Vivek Ramaswamy ha preso solo l’1% delle preferenze nel sondaggio della Conferenza dei conservatori (Cpac) che lo scorso sabato alle porte di Washington mirava a misurare chi fosse il favorito della «base» repubblicana per diventare presidente. Trump ha vinto con il 62% dei voti, DeSantis era secondo con il 20%, poi veniva il milionario Perry Johnson del Michigan, che ha annunciato la candidatura una settimana fa, con il 5%. Ma poco prima del voto – rivela ora la campagna elettorale di Ramaswamy – al candidato 37enne, imprenditore delle biotecnologie indiano-americano con un patrimonio di 500 milioni di dollari sceso in campo per la nomination repubblicana alla Casa Bianca, era stato proposto da un consulente politico legato alla Cpac di pagare 100mila dollari. In cambio sarebbero arrivati in autobus sostenitori pronti a votare per lui nel sondaggio.
Ramaswamy, nato a Cincinnati, in Ohio, figlio di un ingegnere e di una psichiatra, studi a Harvard e in Legge a Yale, ha spiegato di aver voluto rivelare la corruzione e gli accordi ripugnanti che stanno dietro alla moderna politica americana. Al Corriere dice: «Sono in corsa per andare fino alla fine , ma non feticizzo nemmeno la Casa Bianca. Gli elettori hanno fame di qualcuno che corra con una vera visione e un programma. E a proposito di Trump e DeSantis, una delle ragioni per cui sono entrato in corsa presto è che temevo che questa sarebbe diventata una noiosa battaglia biografica, dimenticando il programma stesso. Attraversando il Paese, credo di aver visto che ci sono molti elettori a cui interessa la sostanza, a cui interessano candidati che dicono quel che dicono non perché gli è stato consigliato ma perché ci credono».
Nei contenuti, Ramaswamy dice cose molto simili ai suoi rivali. Propone di abolire il dipartimento dell’Istruzione, l’Fbi e una intera classe di burocrati federali. È contrario all’affirmative action, e vuole cancellare l’ordine esecutivo 11246, che prevede quote basate sulla razza per chi lavora per il governo; è contrario anche al condono parziale del debito studentesco deciso da Biden e in discussione alla Corte suprema (lo definisce una forma di corruzione per avere il voto dei giovani). Sconfiggere la Cina economicamente è la priorità. Quando gli spieghiamo che la delegazione di Fratelli d’Italia giunta al Cpac non è favorevole alla linea dell’abbandono degli aiuti militari Usa all’Ucraina, da lui sposata proprio come da Trump e Desantis, Ramaswamy ci dice: «La Russia è più una minaccia per voi, geograficamente. Noi in America dobbiamo dare la priorità al confine meridionale e al problema dei cartelli della droga, che è più vicino. E c’è la Cina, che è un nemico comune e la cosa peggiore che può accadere è spingere la Russia nelle braccia della Cina». Ma non crede che appoggiare l’Ucraina mostri a Xi che non sarà tollerata una invasione di Taiwan? «Però la Cina potrebbe vederla al contrario - ipotizza l’imprenditore -: “Lasciamo che gli Stati Uniti esauriscano le loro risorse economiche e la volontà politica...”». Ramaswamy ha scritto il bestseller Woke Inc. (sottotitolo: l’imbroglio della giustizia sociale da parte delle corporation americane) ed è considerato uno di coloro che hanno aperto la strada al tema delle «corporation di sinistra» alleate del Big Government, come pure in generale al movimento anti-woke cavalcato ora da tutti i suoi rivali per la nomination: «Ma loro adesso si scagliano contro l’ESG (iniziali per environmental, social e governance ndr) mentre l’altro lato ha già cambiato il termine, ora parla di sostenibilità o qualcos’altro. I repubblicani sono un passo indietro. Serve qualcuno che comprenda la complessità», spiega ai fan giunti a vederlo dopo la conferenza nella sua suite. E a noi dice. «Puoi chiedere a Giorgia Meloni che cosa pensa del libro? Dovrebbero averglielo portato».
E nello stile che Ramaswamy si distingue dai suoi rivali. Quando la stanza d’albergo dove teneva il party si è fatta troppo affollata, è uscito parlare agli ospiti in corridoio, incluso un veterano di guerra in sedia a rotelle che aveva donato 25 dollari alla sua campagna elettorale. Ha improvvisato una sessione di domande e risposte davanti agli ascensori, poi è tornato dentro a registrare un podcast e fino a tarda sera discuteva ancora. Una giovane che ha letto il suo libro gli chiedeva il perché del suo scetticismo sul clima e lui replicava che, pur credendo che i cambiamenti climatici siano causati dall’uomo, non li considera una priorità. «Io obietto alla religione del clima, alla catastrofizzazione del clima che è basata su una serie di false premesse. Considero un privilegio vivere uno stile di vita ad alto consumo di carbonio».
La premessa della campagna di Ramaswamy è di portare ad una «rinascita nazionale», in diretto contrasto con la proposta di Marjorie Taylor Greene, deputata dell’estrema destra, che suggerisce un «divorzio nazionale» tra stati «rossi» e «blu». Alle 6 del mattino di sabato, senza aspettare il discorso di Trump, con cui ci dice di aver cenato due volte (e che ha letto il suo libro), Vivek è partito per la Florida, dove era stato invitato all’evento del potente club dei finanziatori del Club for Growth : DeSantis era il grande protagonista mentre Trump era stato escluso. Ramaswamy è cauto nel navigare tra i due, per evitare d’essere un vaso di coccio tra vasi di ferro. Ma lancia anche frecciate a entrambi. Ride quando osserviamo che sembra impossibile che possa batterli e quando gli chiediamo se non miri in realtà a diventare ministro . «Sono in corsa per andare fino alla fine». Sua moglie Apoorva è d’accordo: gli ha detto che c’è «una buona chance che vincerà e di prepararsi». Trump è stato per lui «un’ispirazione», dice che gli ha mostrato che un imprenditore può entrare in corsa e vincere. Ma è pronto a servire come ministro di Trump? «Lo prenderei come consigliere - replica - accetterei con piacere il suo aiuto». E a DeSantis augura buona fortuna: «Lo adoro e credo che il suo prossimo passo sarà decidere cosa farà». Poi però aggiunge: «Non ho chiesto che orientamento politico abbia il tuo giornale. Se sia di sinistra o di destra. Ma penso che i politici repubblicani non dovrebbero parlare solo con i media che considerano dalla loro parte. Non abbiamo bisogno di meno dialogo. E se non sei pronto a parlare con Nbc o Msnbc probabilmente non lo sei per stare di fronte a Xi Jinping, devi saper tollerare la pressione. Vorrei vedere i miei colleghi repubblicani provarci: niente discorsi scritti da altri, niente suggeritori, diteci semplicemente cosa pensate». (Finora DeSantis ha concesso interviste solo a media legati al suo alleato Rupert Murdoch, incluso il Times di Londra). Infine gli chiediamo cosa pensa del test di competenza mentale proposto da Nikki Haley per i politici over-75. «Non mi piace il feticismo della differenza generazionale. Però penso di essere in grado di raggiungere la nuova generazione di americani».
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