“Io voglio sapere di avere quella porta da poter aprire quando sarà il momento”. Quella porta, per cui Laura Santi si batte in prima persona come attivista con l’associazione Luca Coscioni, è una legge sull’eutanasia legale che permetta a chi come lei è gravemente malato, di porre fine alle sofferenze. Laura ha 48 anni, è una collega giornalista, ha iniziato a scrivere al Corriere dell’Umbria. Dice di ricordare quel periodo come uno dei momenti più belli. Da poco meno di un decennio la sua sclerosi multipla è diventata progressiva e ora, per dirla con parole sue “senza braccia e gambe altrui non posso nemmeno grattarmi un piede. O cambiare posizione nel letto”. Figurarsi camminare, scendere le scale, mangiare un gelato. Mentre mi concede un po’ del suo prezioso tempo chiede alla sua assistente di darle da bere. “Le mie mani non sono più buone” mi spiega. Il suo corpo in autonomia non può più nulla. “Moltiplicatelo per qualunque gesto e per una vita intera, 24 ore su 24” mi dice. La risposta è ciò che lei definisce una “quotidianità feroce”. Scandita da una routine purtroppo condita da assistenza sanitaria carente, che vuol dire diritti negati e disservizi, colmata spesso da miracolosi gesti d’amore di chi le sta attorno. Ma Laura non è solo questo. Vorrei farvela sentire la forza che trasmette mentre racconta che “non voglio fare quella che pensa solo a morire, perché io ho un istinto di vita molto forte”. Ne ha quando nuota in piscina come prima di diventare prigioniera della malattia. Ne ha quando detta i suoi pezzi, perché non può scrivere autonomamente per la sua rubrica su Vanity Fair. Ne ha quando ti inonda di parole, perché lei è lucidissima, brillante e pure ironica, la sua mente galoppa. Ne infonde anche, quando l’ascolteresti per ore, perché parlare con Laura ha il dono di ridare il giusto peso alle cose: quello che sembra un problema, nella vita di chi ha un corpo che funziona, sbiadisce di colpo. Ne ha pure quando pensa a come morire. “Un giorno, mica adesso” per “non gravare su chi mi ama” specifica. “Ho tanta voglia di vivere. Ma quando sarà il momento voglio potermene andare. Mi farebbe vivere molto meglio”. Laura è stata la prima in Umbria a fare richiesta di suicidio assistito.
Chi è Laura Santi oggi?
“Intanto devo dire che è un po’ strano essere quella che alle interviste risponde, ma ormai, nella mia seconda vita è anche così. Oggi inteso come giornata, Laura è una persona molto incazzata perché le manca l’assistenza. Vivo dei problemi di diritti negati, di quotidianità feroce. E la parola ferocia non è esagerata, è la conseguenza della mancanza di assistenza sia pubblica che privata, con mio marito che non sta praticamente lavorando per causa mia. Invece il presente di Laura è quello di una persona che guarda al fine vita come possibilità anche molto concreta. Parlando con il mio psicoterapeuta gli ho chiesto se era possibile voler morire per non pesare sul proprio compagno. Lui mi ha detto sì se è una parte di te. E Stefano è una parte enorme di me. E’ un presente molto duro. In cui mi sento come di essere in un doppio binario. Ho un istinto di vita, di strappare con le unghie e con i denti tutto quello che ancora c’è di bellezza, perché ancora c’è tanto da prendere. Ho un istinto enorme di vita ma ne ho anche uno di morte che non è depressione, lungi da me questa parola, io sono perfettamente lucida come lo sono tutti quelli in Coscioni. Ho un istinto di morte quando penso che è così dura andare avanti. Tutta la mia vita, la mia quotidianità, le mie 24 ore sono organizzate intorno al fatto che qualcun altro per forza mi deve gestire. Quindi mi dico questa roba è vita?”.
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Prima di quello che nel blog chiami turning point, quando la malattia ha preso il sopravvento, come era la tua vita?
“Il mio blog, La vita possibile, purtroppo ormai è fermo per stanchezza, non ce la faccio più a tenerlo, spiegalo nell’intervista. Ma le persone a volte ancora mi cercano passando da quel canale, per questo non lo chiudo. Comunque io ho vissuto in modo pieno, io ho avuto storie, ho fatto dei lavori, mi piace ripetere che sono stata giornalista, ho viaggiato in mezzo mondo. Ho avuto una vita piena insomma. Ma in questa di adesso è tutto diverso: ho fatto mezz'ora di ritardo con te, scrivilo per favore, per essere alzata dal letto, portata in bagno, posizionata poi sulla poltrona. Ho gli auricolari altrimenti non potrei mai tenere il telefono in mano”.
Ci hai spiegato che avresti bisogno di assistenza h 24, come funziona invece?
“Io usufruisco di 14 ore di assistenza pubblica. Da disabile vieni valutato dalla tua Asl. La valutazione è sempre al ribasso, non perché siano cattivi, ma la coperta è corta. Le mie 14 ore sono rimaste 14 da un secolo. Ma io ho bisogno sempre. Comunque ho 14 ore, due al giorno consideriamo, anzi qualcosa più perché la domenica non si può essere disabili e non c’è assistenza. Poi chi ha soldi paga. Io per fortuna sono figlia di pensionati pubblici e per un gioco di casse integrative ho diritto a delle ore di assistenza e a un contributo. Mi serve, ma mi fa arrabbiare perché è un privilegio nella sfiga. Con gli operatori non è semplice: io non sono un anziano che sta a letto. Io vorrei vivere, ho questo 'problema': ho le mie due volte a settimana in piscina, la passeggiata in centro, il giro al lago. Io sono attiva tranne gli orari della fatica. Per questo le mie assistenti devono saper fare tutto, e devono avere forza fisica per alzarmi, muovermi, non devono cambiarmi e basta. La responsabile della cooperativa che si occupa di me, poverina, prova a cercare persone giuste in continuazione. Ho avuto anche chi non ti sa sollevare, chi proprio ti fa cadere. Però con tutte le persone che sono state qui ho instaurato un bel rapporto. Tutte mi hanno detto che ero diventata un’amica. Insomma ero solo una donna normalissima ma con gravi problemi fisici. Poi le altre ore le ho con l'assistenza che pago in parte con la cassa dei miei genitori. Ma chi non ce l’ha come fa? Una ragazza senza formazione specifica prende 1.100 per 30 ore settimanali, con formazione prenderebbe 1.600 netti. E sono tanti. Il resto del tempo c’è mio marito, Stefano. Adesso sto selezionando una nuova assistente, perché la precedente deve lasciare, e anzi fammi ringraziare la grande mobilitazione che c'è stata in città grazie al passaparola sui social. Senza loro non potrei avere quei momenti che per me sono irrinunciabili. E’ un vero problema essere una persona giovane mentalmente lucida e attiva ma il suo corpo è peggio di quello di una 90enne”.
Com’è il tuo corpo? Cosa significa dover convivere con la sclerosi multipla?
“Il mio corpo oggi è paralizzato e inerte oltre che pieno di dolori perché ci sono gli spasmi. Ci sono le notti insonni, i dolori. Io ho una cosiddetta fatica centrale che è neurologica, deriva dal danno al sistema nervoso centrale. Quando sono in fatica non posso parlare, vedere luci, sentire suoni, cado in avanti sul tavolo, mio marito deve tenermi la testa e imboccarmi. E’ una compressione cranica fortissima con paralisi ancor più forte del solito. Non voglio spaventare gli altri con questo racconto. Due luminari di sclerosi mi hanno detto che una fatica così acuta come la mia non l’hanno mai vista. Questa è la Laura di oggi. In molti mi chiedono come faccia ad andare avanti, o leggono i miei pezzi e se lo chiedono. In realtà quei pezzi sono edulcorati, non scrivo tutto, è il quaranta per cento di quello che mi accade. Non parlo dell’incontinenza, del pannolone, del fatto che mi debbano pulire. Ad esempio la scorsa settimana ho fatto un intervento a un convegno sul biotestamento, e dopo ero molto stanca. Anche per questa intervista che faccio molto volentieri, poi avrò bisogno di un’oretta di riposo almeno. Ma io voglio ugualmente dare in qualche modo un messaggio di fiducia perché la mente umana è meravigliosa, ci si abitua veramente a tutto. Ed è incredibile anche perché questa malattia neurodegenerativa è lenta, ti dà il tempo di abituarti, quasi non ricordi come eri prima. Pochi giorni fa mi è arrivata la carrozzina elettrica, l’ho chiamata Pinkie. La malattia va sdrammatizzata quando si può. Anche se la carrozzina l'ho presa rosa shocking ed è fighissima, ho pianto perché mi è sembrato come un passo ulteriore verso la progressione della malattia. Invece mio marito e la mia assistente mi hanno fatto pensare che poteva essere un mezzo per muovermi in autonomia. Voglio farci almeno tutta via dei Priori. Ma devo imparare a usarla per non fare come i Blues Brothers. Tu dirai dove sta la Laura di prima?”.
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Ecco, quanto fa male pensare alla Laura di prima?
“Le mie amiche di sempre quando mi vedono si girano e piangono. Perché non è solo non camminare, è tutto: è anche spostami il sedere più avanti, mi crolla il tronco, tienimi dritta. Questo succede perché loro hanno l’altra Laura davanti. Le assistenti di adesso invece si commuovono quando faccio 16 vasche in piscina. O mi dicono quanto dovevo essere bella quando prima ero in piedi. Gli altri vedono questo iato forse più di me. A me non piace vivere il lutto. Non è tanto il rimpiangere come ero prima è il rimpiangere quello che non sono potuta diventare, cioè madre, giornalista professionista, lavoratrice, moglie. Persona che aiuta e non che deve essere aiutata sempre. Io vedo la contemporaneità che mi manca. Il lutto è per il mancato presente e per il mancato futuro”.
Cosa ti ha tolto più di ogni altra cosa la malattia ?
“Ci ha tolto l’essere genitori, quando ci siamo conosciuti Stefano aveva 42 anni e io 29. Eravamo un po’ individualisti, io non volevo avere figli, non ero la classica ragazza che aspirava ad averne. Ma poi avremmo tanto voluto essere genitori. Da un punto di vista professionale mi è mancato lavorare in una testata nazionale”.
Quando hai scoperto la malattia? E come è progredita poi?
“L’ho scoperto nel 2000, a 25 anni per una neurite ottica, è un sintomo aspecifico. Feci tanta vita senza dirlo a nessuno nel timore di essere discriminata. In fondo era solo una risonanza magnetica l’anno. La tenevo lì come uno spauracchio. Poi il 2011 i primi risvegli a livello deambulatorio. Il 2014 è stato l’inizio della transizione alla forma progressiva. Nel 2016 nel corso di 10 mesi sono passata da camminare, a bastone, a carrozzina. Da cui non mi sono più rialzata. Poi la malattia ha sempre progredito”.
Tu ti stai battendo in prima persona per il fine vita, affinché in Italia ci sia una legge sull’eutanasia legale, perché?
“Vorrei lanciare un messaggio: è normale aver voglia di vivere e pensare a un giorno in cui serenamente si vorrà morire, è normale nella nostra condizione di malati molto gravi, non è depressione. In Italia adesso abbiamo la sentenza Cappato per cui per essere aiutato a morire devi avere quattro requisiti. Si deve essere pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, affetti da malattia irreversibile, che sia fonte di sofferenze fisiche e psichiche intollerabili, e il quarto dannato criterio che si sia dipendenti da un trattamento di sostegno vitale. Quindi io ho una sclerosi multipla e non posso morire perché non sono dipendente da sostegno vitale. Noi ci battiamo per questo. Se chiedessi ovviamente qualcuno mi porterebbe in Svizzera, come facciamo in Coscioni, con un atto di disobbedienza civile. Ma non è semplice anche sradicarsi da tutto. Poco tempo fa è stato il mio compleanno e per regalo avrei voluto sapere di poter morire. E per questo avevo fatto una richiesta di suicidio assistito. Ho fatto la richiesta alla Asl di verifica condizioni che sono appunto questi quattro requisiti. Io sono stata il primo caso in Umbria. I sanitari di questa equipe erano molto timorosi. Andando via mi hanno detto avremmo bisogno di fare più visite con pazienti come lei perché ci insegnano molto. Mi hanno già risposto, e purtroppo spiegano che per quanto sia grave la mia condizione di non autosufficienza h24, non soddisfa il quarto requisito. Me l’aspettavo come regalo perché sarebbe stata la libertà. Poi avrei continuato a lottare per i diritti negati, per le barriere ovunque, per i presidi che non arrivano. Con la leggerezza però di sapere di potermene andare magari tra un anno, magari tra 5 o anche 15 anche, non la vedo così vicina”.
Perché pensi che in Italia ci sia tutta questa resistenza a una legge sul fine vita? Per l’influenza del Vaticano?
“Certamente per il Vaticano, ma nella cattolicissima Spagna la legge è stata approvata. Io credo ci sia tantissima pavidità politica. Da tutte le parti anche da quelle tradizionalmente laiche. C’era stato un brutto disegno di legge a firma Bazoli dopo la bocciatura del referendum che era molto più restrittivo della sentenza Cappato. Io me la prendo con la pavidità e con l’inerzia, ma è un diritto, anche se scomodo. E’ un tema di frontiera e questo lo capisco, con l’aborto ci sono voluti decenni. Anche questa sarà una battaglia lunghissima”.
Hai accennato ai diritti negati, quale è la tua esperienza?
“Voglio parlare di Umbria, che è dove vivo. Io ho chiesto la mia carrozzina elettrica a fine 2021, ho avuto il sopralluogo a casa ad aprile 2022. A giugno 2022 mi chiamano dal centro ausili e mi dicono siamo affranti non era mai successo prima in Umbria, ma si è esaurito tutto il budget regionale. Quindi la mia carrozzina non arrivava. Al centro ausili mi hanno detto che c’erano tante richieste che sarebbero rimaste inevase. Questo significa che la nostra sanità umbra va allo sfascio e intanto tantissime risorse sono andate, ad esempio, per il capodanno di Amadeus. Barriere architettoniche? Il messaggio che ci viene da fuori è che è meglio che stiamo a casa noi disabili, perché il mondo la fuori non è adeguato. Io ero una viaggiatrice, non posso volare più in aereo perché la carrozzina te la buttano in stiva e tanti saluti. Ma si può rompere. Non è un optional, io ci vivo, se si rompe mentre vado all’estero?”.
Laura un messaggio conclusivo…
“E' questo: io voglio continuare a vivere, perché il mio istinto di vita è enorme e so che ho ancora molto da dare e da prendere. Per questo mi auguro di rimandare il più possibile l'idea di morire. Spero di rimanere più a lungo possibile sul doppio binario di cui ho parlato. Significa che ancora sarò qui e avrò voglia di vivere. Al mondo fuori chiederei: lasciateci liberi di decidere della nostra fine, ma nel frattempo, consentiteci di vivere”.
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