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Supporto didattico carente, assistente all’igiene presente solo per qualche ora, inclusione mancata. In 5a elementare la scelta dell’istruzione parentale per evitare ulteriori sofferenze al bambino
Riccardo, 14 anni tra poco, non va più a scuola. La sua «insegnante» è la mamma, che tre anni fa ha scelto l’«istruzione parentale» per evitargli ulteriori sofferenze . «A causa di complicazioni durante il parto, mio figlio ha avuto una paralisi cerebrale infantile con conseguenze severe a livello intellettivo e motorio — ricorda Silvia Caruso —. Già nei primi anni di vita , quando era un continuo peregrinare tra ospedali anche in altre città, abbiamo imparato a conoscere stigma sociale e discriminazioni . Qualcuno addirittura mi disse: “Sarebbe stato meglio se fosse morto” . Grazie alle tante terapie, Riccardo è sopravvissuto e, laddove il contesto è stato favorevole e ha usufruito della continuità didattica, ha fatto enormi progressi ».
Supporti necessari per il diritto allo studio
Inizia la scuola primaria ma il piccolo non può contare sui supporti e servizi necessari per esercitare il suo diritto allo studio, al pari degli altri studenti. «Ho scoperto che per i dirigenti scolastici era quasi scontato che l’insegnante di sostegno cambiasse ogni anno e arrivasse mesi dopo l’inizio delle lezioni — racconta Silvia —. Avevo chiesto che mio figlio entrasse in classe, come tutti, al suono della prima campanella e uscisse al termine dell’orario scolastico, ma sono stata accusata di volerlo “parcheggiare” a scuola. «Inoltre, capitava che mi chiamassero mentre ero al lavoro , a 30 chilometri di distanza, perché il bambino doveva andare in bagno e non c’era l’assistente all’igiene (presente solo qualche ora al giorno). Quando ho iniziato a usufruire dei permessi lavorativi (ai sensi della legge 104) sono stata demansionata, e poi ho perso il lavoro ».
Non è finita. «Per la scuola era “normale” che mio figlio uscisse dalla classe per fare la riabilitazione, perdendo ore di lezione — continua Silvia —. Ho dovuto insistere perché modificassero gli orari di chinesiterapia e psicomotricità. Dopo averle provate tutte, grazie anche al supporto di Anffas, ho fatto ricorso al Tar (vincendolo) per avere un maggior numero di ore di assistenza specializzata a scuola, ma il bambino non ha mai potuto beneficiarne perché la compresenza di insegnante di sostegno e assistente alla comunicazione “disturbava” il lavoro degli altri alunni. «Le cattive prassi — sottolinea Caruso — hanno lasciato segni indelebili tanto quanto la disabilità, se non di più».
Abbandono della «scuola di tutti»
In quarta elementare, per la prima volta Riccardo ha un’ insegnante di sostegno con una formazione specifica , pedagogista e, in passato, assistente alla comunicazione. «È stato l’anno in cui mio figlio ha avuto i maggiori progressi scolastici ed è riuscito a relazionarsi meglio con gli altri compagni — racconta Silvia —. L’anno dopo è arrivata un’insegnante di sostegno inesperta ; mio figlio, che è sempre stato sereno, ha vissuto un’esperienza dolorosissima: in classe veniva zittito ed emarginato , a casa piangeva sempre, anche di notte». Così Silvia decide che è arrivato il momento di abbandonare la «scuola di tutti» . «Pur essendoci una normativa all’avanguardia , almeno sulla carta, dopo essermi battuta legalmente per avere le ore necessarie per il supporto didattico, ho dovuto dedicarmi alla formazione di mio figlio per porre rimedio ai danni fatti dalla mancata inclusione scolastica — puntualizza —. Oggi Riccardo ha riacquistato la sua serenità, fa teatro, gioca a pallacanestro su sedia a rotelle; stiamo lavorando per il suo ritorno a scuola, in prima superiore. «Mio figlio è coetaneo della legge di ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità: vorrei che fosse considerato semplicemente una persona, da rispettare ».
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